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#Articolo18 genera assurde disparità di trattamento. Lo dissero i sindacati nel 1985. E oggi?

martedì, marzo 27th, 2012

Bello scoop di Enrico Marro sul Corriere della Sera. Ottimo lavoro di archivio e fa comprendere tante cose sulla battaglia ideologica e anche un tantino ipocrita contro la riforma dell’articolo 18.

In sintesi, è provato dai documenti del Cnel (consiglio nazionale dell’economia e del lavoro) che nel 1985 importanti esponenti del sindacato di allora (Lama della Cgil, Benvenuto della Uil, ad esempio) criticavano l’artic0lo 18 per come era formulato in quanto fautore di “assurde disparità di trattamento” fra lavoratori ipergarantiti e lavoratori non garantiti (quelli nelle aziende sotto ai 15 dipendenti). E l’istituto della reintegrazione sul posto di lavoro veniva criticato in quanto “non è previsto da nessun ordinamento nei termini nei quali è previsto dal nostro diritto”.

La questione è tutta qui, per approfondire leggetevi l’articolo di Marro.

Non sarebbe male se coloro che si stracciano le vesti per la riforma dell’articolo 18, compresi i “nipotini” di Lama, dicessero come la pensano oggi di quel documento di ieri, a cui contribuì in parte anche Gino Giugni, il giuslavorista padre dello Statuto dei Lavoratori di cui l’articolo 18 è parte.

Altro che Statuto, riformino lo Stato dei lavoratori

sabato, marzo 24th, 2012

Fanno le riforme sul lavoro, ma a me non interessano. Stabiliscono che possono sanzionarmi e persino (ohibò) licenziarmi se per tre volte rifiuto un mio trasferimento per esigenze di servizio, ma questa legge ancora non l’hanno mai applicata. Gli altri, quelli meno tranquilli di me, possono essere “espulsi” al ritmo di 4 ogni 120 giorni perché i datori di lavoro non hanno più soldi per pagarli, ma a me questo non riguarda. Faranno un tavolo separato, per me, e intanto me ne sto sulla mia scrivania.

Sono il dipendente statale, quello più uguale degli altri. Anzi, meglio degli altri. Chi mi dà lavoro non può fallire, quindi io dei “licenziamenti per motivi economici” me ne sbatto. Tanto lo Stato non può fallire.

Eppure proprio perché lo Stato non può fallire, il dipendente statale dovrebbe cedere e calare le proprie aspettative, apprezzando la sua miglior sorte rispetto al dipendente privato in balia di crisi, delocalizzatori, concorrenza globale. E invece no. Guai a chiederglielo, ti guarda stizzito. “Io ho fatto il concorso, mica posso pagare per voi”…

Come dite? Ah già, lo Stato ha appena rischiato seriamente di fallire. Mumble mumble, me ne sovviene una possibile motivazione, ripensando alla reazione unghiosa di cui sopra…

Le vestali dell’#articolo18 e i risparmi dello Stato

venerdì, marzo 23rd, 2012

Le vestali di una visione totemica dell’articolo 18 lamentano che la dignità del lavoratore ora sia “in vendita” dato che, nelle nuove previsioni del Governo, le controversie legate ai cosiddetti licenziamenti economici possano essere risolte soltanto con l’indennizzo al lavoratore, escludendo perciò la possibilità di un reintegro deciso dal giudice.

Indennizzo pagato integralmente da parte dell’impresa, pare di capire. Prima, in questi casi, c’era l’istituto della Mobilità, finanziato dallo Stato in concorso con le imprese.
Prima il sostegno ai lavoratori licenziati per motivi economici veniva pagato da Stato e imprese, ora solo dalle imprese.
Si può discutere del fatto che lo Stato voglia alleggerire o diversamente indirizzare la sua spesa per gli ammortizzatori sociali. Sembra che la nuova Aspi, assicurazione sociale per l’impiego, riguardi tutti i lavoratori, anche precari, e non sarebbe azzardato plaudire a una tutela più universalistica dei lavoratori in difficoltà. Questo avviene senza escludere l’istituto della cassa integrazione.

Ma si fa fatica a comprendere lo sdegno delle vestali da cui siamo partiti. Indennizzo dalle imprese oppure sostegno al reddito da Stato e imprese tramite la Mobilità. Cosa cambia, se non il fatto che lo Stato ora spenderebbe meno potendo quindi dirottare fondi su ammortizzatori sociali più universalistici?