Flashback
27 anni fa.
suoni sintetici, sguardi glabri, tenute vestiarie sformate, elettronica che tocchi un pulsante e suona tutto, donne algide, atteggiamenti marziali, sguardi in camera, sofferti, intensi, recitatissimi.
Uomini androgini. Voci quasi bianche, toni scuri, e il fumo!!!!
Il fumo sul palco sulle scene sul setting. Oltre le barricate, spie occidentali nel comunismo, dalla Russia con Amore, capelli ossigenati, tute dell’adidas, l’Orso sovietico. Reagan, Dallas, metallaramente uniti dal discendere hippy nel fluo yuppy, nel gel, nella sforma.
Anni ’80 come il futuro, come l’utopia realizzanda della caduta dei muri, come la speranza che dopo il piombo giunga la soffice gommapiuma di un mondo nofrontiere, nonucleare, nocommunism.
E invece no. Fu eroina, fu benessere smodato sulle spalle dei giganti o comunque dei genitori che “ha ‘it llà mare” o “ha sempr tenut’ li terr”, fu anche residuo di fantasia del ventennio precedente, quello sì bello e non malinconico.
Gli anni ’80 sono malinconici. Sono quello che poteva essere e non è stato, la scommessa persa, l’illusione troncata, il sogno mozzato da una puntura di spillo che sgonfia il palloncino.
Gli anni ’80 sono una caramella gommosa che ti fa venire la nausea. La felicità dei dentisti dell’anima, carie da estrarre, buchi da riempire, puzza di cibo avariato. Che prima di marcire era spumeggiante e soffice. Andrebbe congelato, per evitarne il decadimento.
E’ possibile congelare la storia, non gli uomini.